Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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L. Boscolo: I gruppi operativi nelle istituzioni pubbliche (italiano)


Gruppi Operativi nelle Istituzioni pubbliche 

Loredana Boscolo  


Questo precongresso, in vista del Congresso di Madrid, febbraio 2006, è un’occasione per riflettere e interrogarci sull’esperienza che ognuno di noi realizza nel proprio ambito lavorativo e professionale con la concezione operativa di gruppo.
Nello specifico sull’applicazione dei gruppi operativi in un servizio pubblico di una Azienda Socio-Sanitaria locale (A.U.S.S L.).
I gruppi operativi si inseriscono all’interno degli spazi, agli interstizi di una istituzione pubblica per poter pensare e praticare una “Strategia del cambiamento”.
La loro attualità sta nel promuovere e creare “condizioni di possibilità” verso un cambiamento di organizzazione e una diversa modalità operativa centrata sul compito.
Attraverso il dispositivo del gruppo operativo: GRUPPO COORDINAZIONE COMPITO si possono elaborare le resistenze al cambiamento sconfiggere i pregiudizi e rompere gli stereotipi
Per promuovere un nuovo pensiero collettivo o “collettivo pensante”, che aiuti a costruire nuovi vincoli di cooperazione e azioni innovative verso una Cultura della Salute dei servizi pubblici.
Il servizio pubblico non è la sommatoria degli ambulatori e studi privati, o un raggruppamento di professionisti che condividono gli spazi di uno stesso edificio, avulso dal contesto istituzionale e sociale in cui opera.
Un servizio pubblico non è soltanto erogatore di servizi, ma dovrebbe avere come finalità il compito di promuovere la salute e il benessere di una comunità.
Per attivare e contestualizzare questi processi, a mio avviso, è indispensabile realizzare un lavoro di équìpe, in cui i professionisti si parlano tra di loro sulle problematiche che devono affrontare, ma che generalmente vengono prese in carico individualmente. Ancora più complesso diventa il terreno quando in gioco entrano più servizi o istituzioni diverse.
Per questo è necessario elaborare uno schema di riferimento comune (E:C:R:O) che possa aiutarci a mettere un pensiero su situazioni istituzionali e casi clinici complessi.

Nel momento in cui mi sono dovuta occupare e comprendere le problematiche delle persone disabili, le richieste soprattutto assistenziali della famiglia, ha comportato che l’ambito di intervento non era molto chiaro, in particolare, chi era il nostro soggetto dell’intervento. Il disabile fisico,psichico, psico-fisico e sensoriale, queste sono solo classificazioni che definiscono l’involucro della problematica da prendersi in carico.
Centrale è pensare ad una strategia dell’intervento, in cui, diverse professionalità (medico, psicologo, assistente sociale, educatore etc…) si devono mettere insieme per elaborare una progettualità di tipo assistenziale, terapeutico e riabilitativo che oltre alla persona con disabilità includa anche la famiglia e tante volte la stessa Comunità.
Prendersi carico di queste situazioni mette in gioco professionalità diverse non solo di un servizio ma di una rete di servizi: ( Materno inf.le, Salute Mentale, Tossicodipendenze, Servizi Sociali del Comune e delle cooperative del Privato Sociale).
Uscire dalla trappola delle resistenze al cambiamento, non rimanere chiusi nella logica dei pregiudizi e nella ripetizione di stereotipi la strada è molto complessa.
Sarebbe, inoltre indispensabile un passaggio di prospettiva nella comprensione di quest’area di “frontiera” com’è la disabilità e la salute mentale, la presa in carico del gruppo familiare , gli inserimenti nei Centri Educativi Occupazionali Diurni.
Voglio dire che queste tematiche toccano “trasversalmente” l’organizzazione stessa dei servizi territoriali, la gestione delle risorse. Perché obbliga diverse discipline, professionisti e istituzioni ad interagire tra di loro, ma nello stesso tempo vede coinvolti più ambiti quali la COMUNITÀ, l’ISTITUZIONE, il GRUPPO e l’INDIVIDUO.
Credo che pensare queste problematiche dal vertice della Psicologia degli Ambiti di Bleger sia non solo necessario ma anche urgente.

Poiché ogni comunità trasmette un proprio immaginario sociale, favorisce un certo tipo di produzione di soggettività che è legata ad una ideologia sui servizi, sulla salute e malattia.
Così una istituzione, a seconda delle strategie aziendali, metterà a disposizione risorse economiche, professionali e progettuali.
Ogni gruppo o équìpe partirà sia dal compito istituzionale che viene assegnato dalla legislazione o normativa, ma anche dalle idee che ognuno ha sul concetto di salute e malattia sui percorsi assistenziali o terapeutici, sulle prese in carico individuali o grippali.
Ogni operatore ha la sua idea sull’inquadramento, sulla prevenzione-diagnosi e cura a partire da quella che è la sua esperienza professionale, formativa e dei diversi rapporti che ci sono nel servizio.

Essendo questi ambiti interagenti tra di loro, all’interno di una dinamica dialettica, gli effetti di un ambito avranno conseguenze sugli altri.
Credo che un secondo passaggio complesso, che deve essere tenuto in considerazione, sia quello di passare da una logica del lavoro individuale ad una “situazione di lavoro in èquìpe”. Qui in questo passaggio diventano centrali i percorsi formativi che si basano sulla concezione operativa di gruppo e sul dispositivo gruppo-coordinazione e compito, per “accompagnare” gli operatori verso un lavoro di èquìpe.
Siamo di fronte ad un cambiamento di organizzazione e ad una modalità operativa in cui diversi professionisti sono chiamati a mettersi  insieme per lavorare e pensare ad un compito comune.
Il passaggio da un raggruppamento di persone o di operatori ad un gruppo o un’èquìpe ci induce a rielaborare i nostri precedenti schemi di riferimento che non toccano soltanto, le nostre professionalità, storie personali ma mettono in gioco anche gli aspetti cognitivi, affettivi, emozionali, e perché no, la nostra intimità.
Per questo le resistenze al cambiamento sono molto tenaci e le persone poco disponibili al cambiamento.
Ma anche perché passare da un raggruppamento a gruppo, si toccano tutti gli aspetti più indifferenziati, più sincretici e immaturi della personalità e dell’organizzazione del lavoro.
Se partiamo dalla definizione che Bleger dà di gruppo, in cui afferma che: “ il gruppo è una socialità stabilita su uno sfondo di indifferenziazione o di sincretismo in cui gli individui non hanno esistenza in quanto tali, tra cui agisce una permanente transitività.
Questa definizione ci dà l’idea di fronte ai cambiamenti di organizzazione, in cui viene messa in gioco la personalità degli individui, la tensione di questi passaggi, talvolta può produrre disgregazione della personalità, in virtù del fatto che il gruppo e le organizzazioni sono la personalità degli stessi individui.
Per questo quando c’è un cambio di organizzazione si toccano abitudini consolidate, gli aspetti più indiscriminati della personalità.
Le istituzioni e le organizzazioni sono depositarie della socialità sincretica.
I cambiamenti mobilizzano le ansietà di base, proprio perché siamo degli esseri umani e non dei robot.
Le organizzazioni e le istituzioni servono a salvaguardare e rafforzare l’immobilizzazione della socialità sincretica è(la socialità sincretica è un’altro tipo di organizzazione, in cui vi è una carenza di processi di individuazione e di identità).
Non si è operata una differenziazione tra corpo-spazio. Quante volte all’interno delle istituzioni manca lo spazio per riunirci, per parlare insieme, oppure nella stanza entrano ed escono persone senza una motivazione.
È stato necessario pensare a dei dispositivi, per dare avvio a dei percorsi formativi che ritagliavano nella quotidianità istituzionale un altro setting.
Uno spazio e tempo per poter elaborare gli aspetti più indiscriminati, le ansietà e le paure di base che si scatenano quando si innescano i cambiamenti.
Un gruppo centrato sul compito (in una tensione sufficiente tra appartenenza e pertinenza) può sopportare momenti di disorganizzazione sia della personalità sia del cambiamento dell’organizzazione.
Un coordinatore che possa segnalare e interpretare ul vincolo gruppo-compito gli stereotipi e le diverse ansietà provocate dalla rottura di modelli appresi in precedenti esperienze, permette di agevolare l’integrazione degli aspetti immaturi con gli aspetti più maturi sia dell’organizzazione della personalità sia dell’’organizzazione istituzionale
I percorsi di formazione si sono realizzati attraverso una “strategia progettuale, per poter allargare ad un maggior numero di persone la possibilità di un processo di apprendimento estendendo l’ambito operativo, al di là del singolo servizio, e gestendo le risorse professionali più verso il lavoro di équìpe.
Il modello didattico su cui si è basata la formazione è stato ed è quello della Concezione operativa di gruppo: Informazione e gruppo coordinato con la tecnica operativa.

Una cosa sull’inizio del percorso;
Nella nostra U.S.S.L., si iniziò nell’86, con un “Intervento Istituzionale” che ebbe la durata di quasi due anni , con l’equipe del Prof.Bauleo e la Dr.ssa De Brasi. Parteciparono all’intervento le equipe dei servizi territoriali e gli amministrativi. IL lavoro svolto è pubblicato in un articolo “Analisi operativa di un processo istituzionale (il caso di una U.S.S.L) su: “Note di Psicologia e Psichiatria Sociale” di Armando Bauleo. Si riprese il cammino nel 99, in cui mi è stata data l’opportunità di elaborare dei progetti di formazione per gli operatori nel campo della disabilità e di responsabile dei progetti.
Descriverò in modo sintetico i percorsi.

PRIMO PERCORSO

Prima parte della formazione
èLa tematica “Dal disabile al gruppo familiare”
Costruzione di un nuovo vertice di intervento da parte degli operatori a sostegno della famiglia.
1. La parte informativa si è articolata sui seguenti argomenti:
ü Setting e analisi della domanda
ü Diagnosi di situazione
ü La nozione di emergente nel gruppo familiare
Dopo l’informazione i gruppi erano due, coordinati da coordinatori esterni.
2. Parteciparono 40 operatori dei servizi territoriali dell’U.S.S.L., gli operatori sociali dei Comuni ed educatori del privato sociale convenzionato.
Seconda parte della formazione
èCostituzione di un gruppo di lavoro sui casi clinici, con la Supervisione istituzionale della dr.ssa Marta De Brasi.
Nel lavoro di supervisione si sono analizzate le situazioni familiari attraverso la presentazione di materiale clinico.
Lo spazio della supervisione ha permesso di elaborare gli aspetti controtransferali legati all’impatto istituzionale sul legame terapeutico, cioè alla nostra implicazione in gioco nella relazione tra operatori e operatori, tra operatori-’utenti o con la famiglia. Ma nello stesso tempo la supervisione ha facilitato la costruzione di una rete operativa di comunicazione tra operatori di servizi e istituzioni diverse.

SECONDO PERCORSO

è“Sostegno alla famiglia come strategia per il benessere della persona disabile, con attivazione di percorsi integrati a favore del disabile nella prima infanzia e adolescenza”
1° nodo: Famiglia – Prima infanzia. La comunicazione
2° nodo: Famiglia – Adolescenza – Disabilità, Che fare dopo la scuola dell’obbligo.
Seconda parte
èGli argomenti erano organizzati su tre livelli:
1. Epidemiologia e diagnosi precoce
2. Struttura e dinamiche del gruppo familiare
3. Organizzazione del lavoro di gruppo territoriale e metodologia del lavoro di rete.
Dopo l’informazione, si svolgeva il gruppo coordinato con tecnica operativa: 40 operatori – due gruppi con coordinatori esterni.
Anche in questo percorso vi è stata una seconda fase di supervisione istituzionale con gruppo di lavoro trasversale. si è analizzato il materiale clinico dei casi complessi con l’ottica dei percorsi integrati con presa in carico da parte dell’èquìpe e della rete dei servizi.
Attualmente è in atto il terzo percorso, finanziato con i Fondi Sociali Europei.
“La persona disabile: un percorso per l’integrazione nell’assistenza socio-sanitaria.
La formazione è per operatori dei servizi territoriali e ospedalieri. Siamo ad una seconda riedizione del corso, per una elevata richiesta da parte degli operatori ospedalieri. La metodologia didattica è informazione e  gruppo coordinato con tecnica operativa. In questo terzo percorso si sono introdotti due elementi nuovi: 1° si è aperta la formazione agli operatori ospedalieri  (medici e infermieri di diversi reparti) e un 2° elemento, che i coordinatori sono “interni” cioè lavorano nella nostra istituzione pubblica.

Questa è l’attualità, che ci pone nuovi interrogativi per la ricerca sull’applicazione del gruppo operativo nelle istituzioni pubbliche.

* Loredana Boscolo es Psicóloga-psicoterapeuta. Responsable de la Unitá Operativa Handicap. AUSSL 14, Chioggia (Italia)

** Ponencia presentada en el Acto Pre-congresual (al Congreso Internacional “Actualidad del Grupo Operativo” celebrado en Madrid, febrero 2006) que tuvo lugar en Rímini, Italia, el 15 de octubre de 2005.


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